Elezioni in Gran Bretagna: Solo il movimento operaio pu

Italian translation of Labour wins third term – Only Labour can defeat Blair. By Phil Mitchinson (May 6, 2005)

Il partito laburista ha vinto uno storico terzo mandato alle elezioni politiche del 2005 ma per le strade non ci sarà nessun festeggiamento e nemmeno un briciolo di entusiasmo. “Almeno abbiamo tenuto fuori i conservatori dal governo” è il commento più diffuso il giorno dopo che, per la prima volta nella loro storia, i laburisti hanno conquistato il terzo mandato consecutivo. La diffusa ostilità nei confronti della guerra in Iraq, la sfiducia nei confronti di Blair e le delusioni per i fallimenti dei due mandati precedenti hanno fatto in modo che vittoria fosse, ma con la percentuale più bassa della storia di tutte le competizioni elettorali britanniche, il 36%.

Questo implica che la maggioranza di cui i laburisti potranno disporre alla Camera dei Comuni è stata drasticamente ridotta a soli 66 deputati. Ancorché possa sembrare ancora piuttosto sostanziosa, non va dimenticato che pur con l’ampia maggioranza di 161 deputati, di cui disponeva nel suo secondo mandato, Blair ha fatto passare la riforma delle fondazioni ospedaliere (una forma mascherata di privatizzazione) per 14 voti, addirittura con soli 5 voti di margine la riforma delle tasse universitarie. Con una maggioranza così ridotta e, soprattutto, con molti dei suoi fedelissimi usciti sconfitti dalle urne, riforme del genere non sarebbero passate. La maggioranza risicata prepara il terreno ad ulteriori “ribellioni” parlamentari rispetto ai nuovi tentativi di privatizzazione del sistema sanitario e delle scuole, in risposta alle pressioni dal basso che vanno facendosi sempre più forti nella società e, soprattutto, nei sindacati.

Insomma, nonostante quanto vada proclamando su un terzo mandato di continuità per la riforma dei servizi pubblici, nonostante la vittoria elettorale, il blairismo è già morto, il “New” Labour si sta incamminando sulla stessa strada, e la stella dello stesso Blair non tarderà ad eclissarsi.

Blair dovrebbe andarsene, ma le pressioni per rimpiazzarlo con Gordon Brown, il successore che i media stanno cercando di accreditare a tutti i costi, non sarebbe altro che un lievissimo ritocco cosmetico. Il desiderio di cambiamento dei vertici non è nient’altro che il riflesso della voglia di cambiare tutto il partito da parte della base..

Tony Blair

Il significato profondo di queste elezioni è estremamente chiaro: la stragrande maggioranza degli elettori non ha nessuna fiducia in Blair & company, è contraria alla guerra, alla politica estera ed alle politiche interne blairiane, ma l’alternativa di un governo conservatore è vista come ancora peggiore. In altre parole non è tanto che Blair sia il minore dei mali, quanto che i conservatori sono peggio!

Dunque nonostante le prevedibili fandonie post-elettorali sull’“appagamento degli elettori” e sul mandato fornito da questi ultimi per continuare le “riforme”, il crollo non solo delle illusioni ma anche della fiducia in Blair e soci in seguito alla guerra in Iraq, insieme alla prospettiva di nuove privatizzazione nella sanità e nell’istruzione, l’attacco continuo ai lavoratori del settore pubblico e sulle pensioni è il vero motivo della scarsa affluenza alle urne che ha fatto segnare un ulteriore minimo storico, che, sebbene di poco superiore all’ultima volta rimane tuttavia uno dei peggiori risultati in termini di affluenza. La realtà è che moltissimi elettori laburisti non sono andati a votare.

I conservatori, come era del tutto ovvio, hanno avuto un certo recupero, inevitabile dopo i minimi storici del ’97 e del 2001, che fu il peggiore risultato per loro dal 1832. Grazie all’enfasi massiccia sul diritto di asilo politico, sull’immigrazione (memori dell’osservazione di Nye Bevan, dirigente laburista degli anni cinquanta: “ad ogni elezione, i conservatori debbono agitare uno spauracchio, se non hanno un programma uno spauracchio andrà bene lo stesso”) si sono ripresi i loro elettori che alle europee avevano votato UKIP (Partito dell’indipendenza del Regno Unito, populista, euroscettico e liberista, Ndt) che non è riuscito minimamente a ripetere quel successo. L’estrema destra, in generale, ha visto molti dei suoi voti pescati nella base dei conservatori (proprio per questo Howard e i suoi si erano spostati così a destra), però il gruppuscolo fascista del BNP (Partito nazionale britannico, Ndt) è riuscito a prendere un po’ di voti a Keighley, nel nord dell’Inghilterra ed a Barking, nel sud. Questa gentaglia non costituisce certo una minaccia elettorale, ciò non toglie che il movimento operaio debba mobilitarsi per spazzarla via, evitando che possano diventare una minaccia nei quartieri popolari.

La sola influenza elettorale che questi gruppi abbiano avuto è stata quella di spingere ancora più a destra i conservatori, Howard ha potuto così ricompattare l’elettorato “tory”, senza però riuscire a vincere le elezioni. Come scrivevamo nell’editoriale del Socialist Appeal (il mensile dei marxisti inglesi, ndt) di questo mese, adesso i conservatori sono alla ricerca di un nuovo leader, a seguito delle immediate dimissioni di Howard. In questo processo cercheranno disperatamente di contenere i malumori della loro base evitando che possa avere un ruolo attivo nella scelta del successore, pertanto si produrranno in tutta una serie di manovre per nominare dall’alto un nuovo leader o, quanto meno, per imporre la scelta tra un paio di candidati “sicuri”.

In tutto questo i liberali sono giunti al loro massimo storico da decenni, ma non è ancora abbastanza da poter conquistare dei seggi, capitalizzando il voto di protesta contro la guerra e piazzandosi (almeno sulla carta, nel loro programma) a sinistra di Blair, in modo da raccogliere il voto di protesta di quelli che non sono rimasti a casa. Il risultato dei liberali è particolarmente buono in alcune zone in cui la percentuale di studenti è più alta, ad esempio a Leeds nord ovest, Cambridge e Cardiff centro. Infatti, la loro opposizione all’aumento delle tasse universitarie ed all’avventura imperialista in Iraq, ha garantito loro molti seggi tradizionalmente laburisti o la seconda posizione, sempre dietro ai laburisti, in alcune zone, in altre zone, invece, hanno ceduto seggi ai conservatori. Questo spiega il loro dilemma: se stanno a sinistra di Blair raccolgono il voto di laburisti delusi, ma per lo stesso motivo perdono quelli di chi li pensa succedanei dei conservatori, un partito capitalista dal volto più umano. Di fatto, dunque, non sono la terza forza politica, ma una ruota di scorta: i loro voti torneranno in massa ai laburisti al minimo spostamento a sinistra di questi ultimi.

In Scozia e Galles nessuno dei rispettivi partiti nazionalisti è stato capace di capitalizzare il grande malcontento seguito al fallimento della linea di Blair e soci. In Scozia, in particolare, lo SSP (Partito socialista scozzese) non ha fatto alcun passo avanti: si direbbe che privati del loro storico uomo immagine, Tommy Sheridan, perdano il piccolo, ancorché significativo, sostegno che erano riusciti ad ottenere.

Per quanto riguarda altri gruppi, i candidati erano tantissimi, ma nessuno di questi ha avuto alcun impatto, con un paio di eccezioni, una di queste è il dottor Taylor, candidato indipendente nel Wyre Forest, eletto nel 2001 in difesa dell’ospedale di Kidderminster, ha mantenuto il suo seggio.

George Galloway

L’eccezione di più alto profilo, però, è senz’altro la vittoria di George Galloway a Bethnal Green and Bow. Già fra i personaggi più popolari del partito laburista, recentemente espulso da quest’ultimo e noto dappertutto per la sua netta contrarietà alla guerra in Iraq ha sconfitto la candidata di Blair, Oona King, per 800 voti. Il suo partito, Respect, ha raccolto un po’ di voti anche altrove, ma è soltanto qui che, per la notorietà di Galloway (di fatto quasi una celebrità) ed anche per un certo opportunismo (ad esempio la sua reticenza rispetto alla difesa dei diritti delle donne), ripetutamente ripreso dalla stampa, nei confronti della vasta comunità musulmana della zona orientale della capitale, sono riusciti a capitalizzare l’enorme impopolarità di Blair e della guerra in Iraq.

L’altra eccezione, molto interessante, viene dalla roccaforte laburista di Blaenau Gwent. Qui i dirigenti laburisti avevano imposto una blairiana di ferro, Maggie Jones, insistendo su una rosa di sole donne per sbarrare la strada al deputato della sinistra laburista, Llew Smith. Storicamente questo era il seggio di Aneurin Bevan, popolarissimo deputato della sinistra laburista che istituì il NHS (Servizio sanitario nazionale) nel governo laburista subito dopo la seconda guerra mondiale e di un altro noto leader laburista, Michael Foot. I dirigenti laburisti locali non hanno accettato la candidatura calata dall’alto della Jones ed hanno appoggiato Peter Law, deputato laburista del parlamento gallese. Sebbene non si possa proprio affermare che Law sia così di sinistra (anche se si candidò come socialista indipendente), non v’è dubbio alcuno che per i lavoratori di questo che è il più sicuro dei seggi laburisti, la contesa sia stata vista come “Vecchio” contro “Nuovo” Labour (quasi nelle condizioni asettiche di un laboratorio, visto che non esisteva la possibilità di dividere il voto laburista e far vincere la destra: conservatori, liberali ed autonomisti gallesi del Plaid Cymru hanno preso 3000 voti). Il “New” Labour di Blair è stato sonoramente sconfitto! La maggioranza di 19000 voti laburisti è diventata una maggioranza di 10000 voti per il candidato indipendente Law. Questo conferma quanto scrivevamo nell’ultimo numero del Socialist Appeal: solo il movimento operaio può sconfiggere Blair! La vera lotta che si aprirà nel prossimo periodo è quella contro i sostenitori di Blair all’interno del partito e del movimento operaio, una lotta che è già in corso nei sindacati, una lotta che deve essere condotta con più rigore per idee e politiche socialiste: è qui che Blair & company saranno sconfitti, non certo nelle cabine elettorali.

Il risultato elettorale ha scongiurato che i conservatori tornassero al potere ed ha dato un bello schiaffo anche a Blair: guardando i servizi elettorali in tv, infatti, si notava come perfino nel suo seggio di Sedgefield, il primo ministro fosse notevolmente ridimensionato. Forse, come gli antichi imperatori romani, si è circondato di un esercito di tirapiedi che non hanno fatto altro che raccontargli le cose che voleva sentirsi dire, per cui appariva più uno che ha perso le elezioni piuttosto che uno che è al suo terzo incarico come primo ministro. Blair esce da queste elezioni con le ossa rotte: oltre allo choc del risultato complessivo, nel suo seggio è stato costretto ad ascoltare il discorso commovente e pieno di dignità di Reg Keys, padre di un soldato morto in Iraq, che si era candidato contro di lui a Sedgefield, ed ha ottenuto il 10% dei voti.

 Chiuso il capitolo elezioni, Blair e compagni penseranno che sia tutto finito e che si torna all’ordinaria amministrazione. In realtà, se pensano di trascorrere in tranquillità altri quattro o cinque anni basandosi sull’economia in crescita, continuando ad attaccare i diritti dei lavoratori mentre finanzieri e speculatori prosciugano le ultime fonti di profitto dalla carcassa dello stato sociale e dei servizi pubblici, si sbagliano proprio di grosso. Il terzo mandato sarà drasticamente diverso dai due precedenti; la crescita economica è durata 14 anni, basandosi sulle pressioni continue, il logoramento, i bassi salari, l’aumento dei credito e del debito, la decimazione dell’industria britannica: quella crescita adesso è in crisi e perfino la bolla immobiliare, che è servita a gonfiare artificialmente i consumi spingendo ancora per un po’ l’economia, ha raggiunto il suo limite.

Il malcontento strisciante in praticamente tutti i posti di lavoro spiana la strada a nuovi importanti conflitti operai, e già da un paio d’anni si sta notando un aumento della combattività operaia e sindacale. Abbiamo sempre sostenuto che questi sviluppi non seguono mai una linea retta, ma compiono percorsi oltremodo tortuosi, con fasi di picco e fasi di calo delle lotte e della combattività. Al momento, con i tagli ventilati di 100mila posti di lavoro nel settore pubblico ed altri 22mila annunciati dalla CBI (Confindustria britannica, Ndt) a rischio entro giugno, ci sono tutte le condizioni per sviluppare importanti lotte in difesa dei posti di lavoro sotto attacco. Temendo di dover affrontare una poderosa ondata di scioperi, Blair aveva differito l’attacco alle pensioni dei dipendenti pubblici (una mossa che era come dire a milioni di lavoratori che le loro pensioni non sarebbero state ridimensionati fino a quando non avessero votato per il governo), ma se riprenderà quell’idea non v’è dubbio che dovrà fronteggiare un’ondata di scioperi, e lo stesso avverrà per ogni singolo passo in questa direzione, sulle pensioni, la scuola o la sanità.

I lavoratori britannici hanno detto chiaramente, in queste elezioni, che non vogliono un governo conservatore, ma nemmeno Blair ed i suoi; non c’è stata né apatia, né un senso d’impotenza, al contrario il voto di protesta è stata significativo, e si espresso attraverso il non voto, il voto ai liberali o ad altri partiti, ivi compresa la soluzione, adottata da moltissimi lavoratori, di turarsi il naso e votare laburista pur di scongiurare il pericolo di un governo conservatore. Questo non garantirà però a Blair un ampio margine di manovra per altri quattro o cinque anni di attacchi filo padronali ai posti di lavoro o ai servizi pubblici.

Le azioni che verranno messe in campo dai sindacati per difendere posti di lavoro, pensioni e quant’altro si rifletteranno nel partito laburista, fino a scatenare grandi contrasti anche dentro il parlamento. Con una maggioranza così ridimensionata, Blair non avrà le mani così libere come le ha avute finora anche nel vertice del partito, prima o poi sarà costretto ad andarsene e ritirarsi nella sua nuova bella casa in un quartiere di miliardari.

Blair può ben aver vinto le elezioni, ma il blairismo è morto. Il sogno inconfessato di trasformare il Labour Party britannico in una fotocopia del partito democratico americano, una possibilità che aveva sedotto anche molti gruppi settari, è svanito nel nulla. L’affermazione del blairismo si ebbe a seguito delle sconfitte e della demoralizzazione del movimento operaio che l’aveva portato ad un lungo periodo d’inattività: quel periodo è finito. Il blairismo appartiene ormai al passato, non al presente, né al futuro.

Blair annuncia ai quattro venti che resterà in carica tutto il mandato. Ciò è improbabile, per dirla con Oscar Wilde: “ci sono alcune persone che mettono allegria ovunque vadano, altre purché vadano”. Tuttavia sostituire Blair con Brown non sarebbe altro che un ritocco cosmetico, e pure leggero: il movimento operaio deve porsi in una prospettiva ben più ampia.

Dietro le fanfare delle elezioni del 2005 dobbiamo vedere i cambiamenti radicali che vanno producendosi nella politica Britannica. Le condizioni materiali determinano la coscienza ed è proprio il cambiamento delle condizioni materiali della classe lavoratrice che spiega la polarizzazione di classe nella società, un elemento che sarà al centro della scena politica per tutto il prossimo periodo.

Questo avrà delle implicazioni a sinistra come a destra: ci sarà una crescita della reazione e dei gruppi di destra in generale che non potrà essere ignorata, il partito conservatore si sposterà ancora più a destra ma, in ogni caso, il ruolo fondamentale lo giocherà il movimento della classe lavoratrice, lo spostamento a sinistra nelle sue organizzazioni, nei sindacati e, da un certo punto in poi, anche nel partito laburista.

C’è una sola forza politica che può sconfiggere Blair ed è quella dei sindacati e della base laburista: non è nella cabina elettorale, ma all’interno del movimento operaio che Blair ed i suoi vanno sconfitti. Quello di cui abbiamo bisogno ora è una strategia combattiva in difesa dei posti di lavoro e delle pensioni, contro Blair ed i suoi seguaci, perché idee e politiche socialiste riconquistino il partito laburista così da ritornare al centro della scena politica.