Grecia – Bilancio e prospettive dello sciopero generale del 6 aprile

Mercoledì 6 aprile, centinaia di migliaia di lavoratori in tutta la Grecia hanno risposto all’appello della Confederazione generale dei lavoratori greci (GSEE – la confederazione dei lavoratori del settore privato) e della Confederazione dei dipendenti pubblici (ADEDY) per l’adesione a uno sciopero generale di 24 ore. Decine di migliaia di lavoratori, insieme a cittadini comuni, disoccupati e giovani, hanno partecipato ai cortei organizzati in oltre 70 città.

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Questa è stata la seconda grande mobilitazione del movimento operaio dopo lo sciopero generale di 24 ore dello scorso giugno contro la legge che deregolamenta i diritti dei lavoratori del ministro del lavoro Kostis Hatzidakis, e ha dimostrato che la classe operaia si sta muovendo, gradualmente ma inesorabilmente, verso la lotta di massa.

Lo slogan centrale dell’appello allo sciopero delle due maggiori confederazioni sindacali del paese era: “I nostri salari non bastano, le bollette non possono essere pagate”; e le rivendicazioni principali erano “aumenti salariali e misure contro l’aumento dei prezzi, in modo che ci sia un tenore di vita decente per tutti”.

Inoltre, i sindacati chiedevano l’abolizione della legge anti-operaia di Hatzidakis e del cosiddetto “contributo di solidarietà” (una misura fiscale di emergenza introdotta nel 2016); il pagamento degli arretrati per gli aumenti salariali degli anni 2016-17; l’innalzamento del reddito esentasse a 12.000 euro; il ripristino della tredicesima e della 14a mensilità; l’aumento del salario per i lavori pericolosi e usuranti, e l’estensione di tale salario di rischio per coprire una gamma più ampia di professioni; un cospicuo sostegno finanziario per l’ESY (il sistema sanitario nazionale); la copertura di migliaia di posti vacanti nel settore pubblico; e la cancellazione delle privatizzazioni di enti e aziende statali.

Il Fronte Combattivo di Tutti i Lavoratori (PAME, il fronte sindacale del Kke) ha presentato la rivendicazione aggiuntiva di opposizione alla guerra imperialista in Ucraina, e lo slogan: nessun coinvolgimento della Grecia nella guerra.

La questione immediata che ha mobilitato la classe operaia è stata senza dubbio l’aumento esplosivo dei prezzi dei beni di prima necessità negli ultimi mesi. Secondo una ricerca dell’INE-GSEE, pubblicata il 31 marzo, il 60% dei lavoratori del settore privato dice di essere stato costretto a tagliare la spesa per i generi alimentari di base, il 74% dice lo stesso per il riscaldamento e l’80% per i divertimenti.

Il governo reazionario di Nuova Democrazia ha mostrato indifferenza di fronte a questo declino del tenore di vita dei lavoratori. In nome della gestione delle conseguenze finanziarie della pandemia, negli ultimi due anni ha fornito un totale di 42 miliardi di euro, principalmente alle imprese, sotto forma di finanziamenti diretti o esenzioni fiscali. Entro il 2026, il totale delle elargizioni del “Fondo di recupero” dell’UE alle aziende che operano in Grecia dovrebbe raggiungere i 32 miliardi di euro sotto forma di sussidi diretti e prestiti a basso costo o senza interessi. Quando si tratta di inflazione e prezzi alti, il governo si limita a misure ridicole, come minimi sussidi per aiutare a pagare l’elettricità e la benzina. Poi ha l’audacia di sostenere che non c’è spazio per altro a causa del deficit e del livello del debito pubblico.

Il cambiamento dell’ambiente fra la classe operaia era evidente già da diversi mesi, prima dell’ondata crescente di inflazione. Prima del successo dello sciopero generale, ci sono state altre mobilitazioni operaie vittoriose, come gli scioperi dei portuali COSCO e lo sciopero dei riders lo scorso autunno.

Partecipazione allo sciopero

Nella maggior parte dei luoghi di lavoro più grandi, la partecipazione allo sciopero è stata alta o totale. In molte fabbriche in tutto il paese la produzione si è fermata, i cantieri erano inattivi, la maggior parte dei trasporti pubblici nella capitale si sono fermati, nessuna nave ha lasciato i principali porti del paese e le scuole pubbliche erano praticamente chiuse.

Indicativamente, nelle grandi fabbriche del settore della stampa e dei media, la partecipazione superò il 70%. Le grandi fabbriche come la Johnson’s di Mandra sono state chiuse, mentre un’alta partecipazione è stata registrata in altre parti del settore farmaceutico come la FARMA di Anthousa, la Boehringer e la Lavipharm. Nel settore alimentare, la partecipazione nelle grandi fabbriche è stata quasi del 100%, come in EVGA, TASTY e AMSTEL.

Nell’edilizia, tutti i grandi siti di costruzione sono stati chiusi. Lo stesso si è verificato nel settore della costruzione navale, e nei siti di riparazione e meccanica. Alla COSCO Container Station non c’è stato alcuna movimentazione perché i lavoratori portuali si sono astenuto dal lavoro in massa.

È una testimonianza dello stato d’animo combattivo che si sta sviluppando in alcuni settori della classe operaia che la partecipazione abbia travolto tutte le leggi antisindacali approvate dal governo precedente e soprattutto da quello attuale. Questo si accompagna a un aumento del clima di terrore da parte dei padroni.

I lavoratori del trasporto locale di Atene hanno aderito universalmente allo sciopero, nonostante il fatto che l’amministrazione OSY (responsabile del sistema di trasporto locale di Atene) si fosse appellata ai tribunali, che hanno stabilito che l’illegalità dello sciopero. I lavoratori sono stati informati di questa decisione solo il giorno prima dello sciopero. I lavoratori sono stati informati di questa decisione solo il giorno prima dello sciopero. Nei trasporti e nelle spedizioni, i sindacati si sono rifiutati di garantire allo stato e ai datori di lavoro il personale richiesto per il “servizio minimo garantito” dalla ‘Legge Hatzidakis’ – che avrebbe sostanzialmente annullato lo sciopero.

Estremamente significativo è il fatto che lo sciopero è stato ampiamente appoggiato in quei settori dove il clima di terrore dei padroni era particolarmente intenso, come i grandi magazzini Praktiker, dove la partecipazione ha superato il 70% a livello nazionale. Nei principali magazzini della nota multinazionale Lidl, la partecipazione allo sciopero ha superato il 90%. Vale la pena notare che, subito dopo lo sciopero generale, i lavoratori della Lidl hanno partecipato a uno sciopero di 48 ore per la firma del contratto collettivo di lavoro e aumenti salariali.

Tuttavia, la partecipazione allo sciopero è stata molto più limitata negli uffici e nei servizi, con il settore dei caffè e della ristorazione (che impiegano una parte significativa dei giovani lavoratori) che ha visto solo tassi di adesione trascurabili. In generale, nella maggior parte dei posti di lavoro del settore privato, dove i sindacati non sono forti, la partecipazione è stata bassa.

La ragione di questi bassi tassi di adesione non è semplicemente la paura dei padroni, ma anche l’enorme pressione sul tenore di vita dei lavoratori, che è ancora maggiore nel settore privato dove i salari sono più bassi. Questa pressione extra significa che i lavoratori – e specialmente quelli con famiglia – non sono in grado di permettersi di perdere il guadagno anche di un solo giorno di salario. E questo ostacolo alla partecipazione all’azione di sciopero è moltiplicato dal fatto che non c’è una strategia specifica da parte dei dirigenti sindacali per intensificare la lotta in modo tale che possa portare a vittorie tangibili.

L’operaio medio sa che la dirigenza burocratica dei sindacati ha usato per anni lo sciopero generale di 24 ore come “valvola di sfogo” – danno solo l’apparenza di fare qualcosa, senza la determinazione di lottare fino alla vittoria. L’ultimo esempio di questa tattica è stato lo sciopero di 24 ore dello scorso giugno contro la “legge Hatzidakis”, che, sebbene massiccio, è arrivato molto tardi e non è stato seguito da nessun’altra azione. Sottopagati e a rischio di licenziamento, i lavoratori del settore privato, in condizioni di esplosione dell’inflazione, sentono che non ha senso correre il rischio di partecipare a uno sciopero del genere.

Le manifestazioni

I più grandi cortei e manifestazioni sono stati organizzati, naturalmente, ad Atene. C’erano tre diversi concentramenti. La direzione del GSEE e dell’ADEDY hanno convocato un’assemblea in piazza Klafthmonos; il PAME in piazza Syntagma; mentre un raggruppamento di forze sindacali intorno alla sinistra extraparlamentare si è riunito ai Propilei. Tuttavia, la distanza molto breve tra i tre diversi luoghi di raccolta ha fatto sì che le tre convocazioni separate non abbiano sostanzialmente diviso le forze dei lavoratori nella capitale.

Ad Atene, i comizi e le manifestazioni di sciopero sono iniziati alle 10.30 del mattino, con i tre pre-concentramenti del PAME. Anche dopo le 14.00, quando gli ultimi spezzoni di manifestanti sono passati per piazza Syntagma – cioè in un periodo di quasi 4 ore – le strade principali di Atene erano inondate di manifestanti.

Il più grande corteo ad Atene è stato senza dubbio quello del PAME, che ha coinvolto circa 20.000 persone. Le manifestazioni di GSEE e ADEDY sono state meno massicce e meno combattive. Questo fatto è un’ulteriore prova della grande insoddisfazione che si è accumulata fra le fila del movimento operaio per l’atteggiamento concertativo della burocrazia del movimento operaio verso il governo e i capitalisti. La direzione del GSEE non ha fatto un appello generale alla mobilitazione per più di due anni, nonostante la classe operaia soffra gli effetti di una crisi economica molto profonda e di una gestione criminale della pandemia da parte del governo, che ha fatto sì che la Grecia soffra uno dei più alti tassi di mortalità pro capite per COVID-19.

Notevole in termini di partecipazione e combattività è stato il corteo organizzato dalle forze sindacali della sinistra extraparlamentare. Questo riflette in un certo senso i processi radicali in atto tra i settori più giovani della classe operaia, e la profonda sfiducia che si è sviluppata nelle loro file verso tutte le direzioni tradizionali dei sindacati, compresa quella del PAME.

Ci sono stati grandi cortei in tutte le principali città del paese, tra cui Salonicco, Patrasso, Larissa, Volos, ecc. Qui le manifestazioni del PAME hanno prevalso per numero e combattività. La manifestazione del PAME a Salonicco ha avuto una presenza molto forte di parti del movimento operaio che hanno recentemente mostrato grande combattività, tra cui i fattorini delle aziende ‘e-food’ e ‘Wolt’. La manifestazione aveva anche un forte carattere anti-imperialista. La manifestazione si è diretta verso il consolato degli Stati Uniti con lo slogan “Né terra né acqua agli assassini del popolo”, e poi si è conclusa al porto della città, da cui una nave della NATO aveva trasportato attrezzature militari in Ucraina. Lì, la manifestazione è stata attaccata dalla polizia, che ha arrestata 11 attivisti, otto dei quali sono stati trattenuti per più di 24 ore e sono stati rilasciati solo dopo presidi di protesta ad Atene e a Salonicco (più in basso il video della protesta per la liberazione degli arrestati).

Questa audace azione antiimperialista è giunta come conseguenza naturale del rifiuta dei ferrovieri dell’azienda TRAINOSE di Salonicco di trasportare le attrezzature militari della Nato al di fuori della Grecia, come parte dei piani di guerra della Nato in Ucraina.

Perché la partecipazione non è stata più alta?

L’impressione generale che si ricava dalla partecipazione allo sciopero, ai comizi e alle manifestazioni è che, sebbene sia stato un indicatore significativo della crescente combattività della classe operaia dopo lo sciopero generale del giugno scorso, è stata inferiore a quella che ci si poteva aspettare considerando l’enorme attacco al tenore di vita da parte dell’inflazione. Questo può essere spiegato principalmente guardando al ruolo della direzione delle organizzazioni di massa della classe operaia, sia a livello politico e che sindacale.

Dobbiamo prima di tutto respingere l’interpretazione tipica e semplicistica data in questi casi dai vari “analisti del disastro”, dentro e fuori il movimento operaio, secondo i quali “le masse non vogliono lottare” – o peggio – “i lavoratori sono diventati conservatori”. Nove volte su dieci, queste interpretazioni sono fatte da individui che proiettano semplicemente la loro passività e il loro conservatorismo sulla classe operaia. Non riescono a vedere il reale stato d’animo complessivo della classe operaia, come si sta sviluppando, e i processi più profondi che lo definiscono, e le sue contraddizioni. In altre parole, questi osservatori sono intrappolati in un volgare empirismo.

Nell’ultimo anno e mezzo, abbiamo visto molte prove che l’ambiente fra la classe operaia e i giovani sta diventando più combattivo e radicale. Oltre ai due grandi scioperi generali di 24 ore, abbiamo visto una serie di scioperi promettenti – e anche vittoriosi – come quelli dei riders e dei lavoratori della COSCO, e lo sciopero di massa e le manifestazioni degli insegnanti in autunno. Abbiamo anche visto massicce mobilitazioni giovanili, come la manifestazione antifascista alla Corte d’Appello a favore della condanna di Alba Dorata nell’autunno del 2020, e le mobilitazioni scoppiate contro la repressione della polizia in seguito all’estrema violenza di stato nel quartiere di Nea Smirni nella primavera del 2021.

A coloro che scioccamente parlano di conservatorismo delle masse lavoratrici, segnaliamo le tendenze radicali che si sviluppano nella classe operaia, come evidenziato proprio da questo sciopero di 24 ore del 6 aprile. Questo può essere visto nella tendenza a superare il terrorismo padronale e statale (da parte dei lavoratori del trasporto locale e dei trasporti in generale, così come dei lavoratori di Lidl e di altri grandi magazzini) e l’adozione di rivendicazioni antimperialiste (da parte dei lavoratori TRAINOSE, e dei partecipanti alla manifestazione di Salonicco).

La pandemia, per ovvie ragioni, ha rallentato questo processo di sviluppo della combattività. L’attuale attacco al livello di vita sta certamente avendo un effetto esplosivo sullo sviluppo della coscienza delle masse lavoratrici e dei poveri. Ma questo le rende anche più riluttanti a partecipare a scioperi simbolici, poiché anche la minima perdita di reddito in condizioni di pressione soffocante sul tenore di vita, così come le minacce di licenziamento, sono ancora più intollerabili. Questo spiega la maggiore partecipazione allo sciopero nel settore pubblico e nei posti di lavoro privati dove ci sono sindacati forti, e la partecipazione molto ridotta o inesistente da parte dei posti di lavoro più precari con sindacati meno forti nel settore privato, come i caffè e i ristoranti.

Tuttavia, la classe operaia ha storicamente creato organizzazioni di massa, sindacati e partiti, come “strumenti” necessari per superare queste difficoltà oggettive, permettendole di difendere efficacemente il suo tenore di vita. Le esitazioni all’adesione alo sciopero avrebbero potuto essere superate se i sindacati e i partiti che parlano in nome della sinistra e degli interessi dei lavoratori oggi avessero impiegato tattiche più radicali e determinate.

I burocrati sindacali della GSEE (e in misura minore dell’ADEDY) hanno convinto la classe operaia che, anche quando sono costretti dalla portata degli attacchi della classe dominante a convocare mobilitazioni, non solo non vogliono lottare fino in fondo, ma non prevedono nemmeno la più elementare escalation. Non godono del prestigio per dirigere le necessarie lotte operaie di massa che abbraccino i settori più ampi possibili della società.

Da parte loro, in un periodo in cui la classe operaia è vicina al punto di ebollizione, le forti forze di opposizione intorno al PAME, che controlla decine di federazioni di categoria e camere del lavoro, potrebbero conquistare la maggioranza del movimento operaio alla lotta combattiva di massa fino alla vittoria. Ma i dirigenti del PAME minano questa possibilità rifiutando ostinatamente di presentare un programma specifico, a lungo termine e convincente di intensificazione delle lotte. Si assicurano semplicemente di essere un piccolo passo avanti rispetto alle proposte della burocrazia sindacale. Le loro proposte effettive di mobilitazione sono deboli e vaghe, e non possono convincere la massa più ampia dei lavoratori a fare i sacrifici finanziari in cui incorrerebbero scioperi ancora più massicci.

Dobbiamo sottolineare che il modo principale per dare agli scioperi la necessaria partecipazione di massa non è proporre un piano “perfetto” e dettagliato di intensificazione delle lotte, ma convincere i lavoratori che questa intensificazione può avere successo. Il PAME ha a disposizione forze più che sufficienti nei sindacati per convincere i lavoratori di questa prospettiva. Sfortunatamente, la direzione non sembra disposta a procedere con un tale piano.

Pur parlando di intensificazione delle lotte, i dirigenti del PAME non avanzano una proposta specifica con cui armare i loro attivisti, e quindi conquistare altri lavoratori attraverso un’opera di persuasione sistematica e paziente. Basta citare il comunicato, pubblicato dal PAME, subito dopo lo sciopero del 6 aprile. All’inizio parla di “escalation immediata”, per poi terminare con un appello alla manifestazione del Primo Maggio. Ma la manifestazione del Primo Maggio sarebbe stata organizzata comunque, indipendentemente dall’inflazione soffocante e da questo primo sciopero generale di 24 ore contro di essa.

In altre parole, un lavoratore ha tutto il diritto di chiedere alla direzione del PAME: qual è il vostro piano di “intensificazione delle lotte immediata” compagni, quando l’unica cosa specifica che suggerite è un corteo dinamico e massiccio il Primo Maggio, 25 giorni dopo lo sciopero generale? I lavoratori non sono bambini. Capiscono che questo comunicato non propone alcuna escalation, tanto meno una “immediata”.

La riluttanza dei principali settori dei dirigenti sindacali ad avanzare un necessario piano di intensificazione delle lotte e a persuadere le più ampie masse lavoratrici a entrare in lotta, non è indipendente dal fronte politico. In effetti, questa reticenza esprime l’atteggiamento dei partiti di sinistra all’interno del movimento operaio.

La direzione del KINAL-PASOK (il fronte elettorale costruito dal Pasok, il partito socialissta, ndt), a cui appartiene il nucleo della burocrazia del GSEE, è apertamente al servizio della classe dominante. Vuole semplicemente conquistare gli elementi più ben pagati e conservatori della classe operaia nel settore statale, allontanandoli da SYRIZA, e per governare ancora una volta assieme a ND. Questo è stato il significato della frettolosa elezione del nuovo presidente del KINAL-PASOK, N. Androulakis, sostenitore del riformista di destra ed del vecchio leader e ex primo ministro K. Simitis. Si spiega anche il memorandum sulle alleanze tra PASOK e ND, mentre N. Androulakis inviava contemporaneamente i suoi “calorosi saluti” ai cortei del 6 aprile.

La leadership di SYRIZA, le cui file comprendono un gruppo di leader dei sindacati più forti, nonostante abbia chiesto di partecipare allo sciopero e aveva uno spezzone di partito (composto solo da circa 500 persone) ad Atene, nelle sue dichiarazioni pubbliche nega enfaticamente la necessità di intensificare e rafforzare le lotte dei lavoratori. Temono di coltivare aspettative radicali tra i lavoratori, e temono qualsiasi possibilità di andare al potere e formare il nucleo di un nuovo governo sull’onda di un movimento di massa, che interromperebbe i loro piani di compromesso “pacifico” con la classe dominante e il capitalismo. Una tale pace sarebbe, ovviamente, vantaggiosa per le carriere dei politici di SYRIZA e dell’apparato statale borghese.

La linea politica generale della leadership del KKE, nel frattempo, è responsabile dello stallo nelle tattiche dei leader del PAME, i cui dirigenti sono membri di punta del partito. Il rifiuto della leadership del PAME di sostenere attivamente “l’intensificazione delle lotte immediata” della lotta operaia riflette l’assenza di una linea politica veramente rivoluzionaria e marxista del partito. Questo è il risultato della linea delle “lotte difensive”, che il partito basa sull’idea che le attuali condizioni oggettive, e in effetti la stessa classe operaia, non sono mature per una seria lotta per trasformare la società. Tutto ciò che si può ottenere nelle condizioni date, quindi, sono piccole vittorie attraverso lotte di retroguardia.

Questa linea politica non comprende il rapporto dialettico tra una lotta difensiva e una offensiva (rivoluzionaria), e la possibilità di quest’ultima – attraverso la partecipazione di massa dei lavoratori, e in cui la presenza di un partito operaio rivoluzionario di massa è decisiva. Di conseguenza, il programma del partito per la lotta contro l’aumento dei prezzi esclude qualsiasi messa in discussione della proprietà dei capitalisti, come le richieste di controllo dei lavoratori o l’esproprio delle grandi compagnie energetiche. Il programma si limita fondamentalmente a chiedere “più ristori” per i lavoratori.

Al centro di questa debolezza c’è una sottovalutazione del potenziale rivoluzionario della classe operaia, come si riflette in tutte le dichiarazioni della leadership del KKE (specialmente quelle congressuali) sulla situazione interna e internazionale. Queste tendono a sottolineare la forza della classe dominante e dell’imperialismo, e a sottovalutare le possibilità rivoluzionarie che esistono oggi nella lotta di classe. Inoltre, dietro queste ripetute espressioni di debolezza c’è una paura nascosta da parte della direzione che la classe operaia in lotta possa superarli, e che la base del partito KKE possano superare i loro leader.

Come deve essere intensificata immediatamente la lotta?

La classe operaia non può aspettare. Deve impegnarsi in una lotta di massa deve impegnarsi in una lotta di massa per proteggere il suo tenore di vita ora. Al posto della passività e dei vaghi appelli all’ “intensificazione delle lotte”, proponiamo i seguenti passi:

Una convocazione immediata di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e in tutti i sindacati per discutere i risultati dello sciopero del 6 aprile e determinare i prossimi passi.

Un’intensificazione delle lotte ben preparata verso uno sciopero generale di 48 ore all’inizio di maggio. Ciò significa che è necessario intensificare il lavoro sistematico per coinvolgere ancora più lavoratori negli scioperi e nelle manifestazioni. Per portare avanti questo lavoro, le forze della sinistra nei sindacati, tra cui le principali sono quelle del PAME, devono agire in maniera unitaria per creare comitati per l’intensificazione della lotta dei lavoratori in ogni luogo di lavoro, che inizieranno immediatamente l’azione sistematica in quei luoghi di lavoro dove c’è stata poca o nessuna partecipazione il 6 aprile.

Il successo di uno sciopero generale di 48 ore presuppone che i lavoratori capiscano che, se la conquista delle rivendicazioni più elementari per affrontare i prezzi alti non viene raggiunta, verranno intraprese misure specifiche per preparare uno sciopero generale totale.

Soprattutto, le forze della sinistra nei sindacati devono sottolineare che, per conquistare fermamente e definitivamente tutte le rivendicazioni vitali nella lotta contro l’inflazione, i lavoratori devono lottare per un governo operaio al potere, che prenda un programma economico socialista complessivo, inclusa la nazionalizzazione delle banche e di tutte le altre grandi imprese. Inoltre, dato che gli alti prezzi dell’energia e di altre materie prime sono principalmente il risultato di fattori internazionali, solo una lotta coordinata a livello internazionale contro il capitalismo, con una prospettiva socialista, può porre definitivamente fine a questa intollerabile crisi del costo della vita.

11 aprile 2022

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