Niger – Il colpo di stato riflette cambiamenti di natura tettonica in Africa

L’instaurazione di un governo militare in Niger rappresenta un punto di svolta nel Sahel. Considerato un importante baluardo di stabilità dalle potenze occidentali, la rapida caduta del governo di Niamey, sostenuto dalla Francia, è solo l’ultimo di una serie di colpi di Stato antifrancesi in una regione afflitta da instabilità e da ingerenze imperialiste. Pur utilizzando una retorica anticolonialista, che sta avendo una forte eco in tutta l’Africa, questi nuovi regimi si rivolgono alla Russia alla ricerca di sostegno, creando un nuovo importante fronte nello scontro tra l’imperialismo occidentale e la Russia.

[Source]

La detenzione del presidente del Niger, Mohamed Bazoum, il 26 luglio, seguita dall’annuncio del governo militare, ha provocato un’immediata escalation di tensione in tutta la regione. Avendo subito battute d’arresto in tutta la cosiddetta “cintura dei golpe”, che si estende dalla Guinea a ovest al Sudan a est, l’imperialismo occidentale e i suoi alleati locali sono chiaramente in preda al panico e stanno cercando strumenti per difendere i loro interessi nella regione.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), guidata dalla Nigeria e sostenuta dall’Occidente, ha immediatamente annunciato pesanti sanzioni e ha persino minacciato un intervento militare se Bazoum non fosse tornato al potere entro la fine di questa settimana. La Nigeria ha già interrotto la fornitura di elettricità al Niger, pari al 70% dell’energia del paese, nel tentativo di esercitare ulteriori pressioni.

Questo ha a sua volta portato i governi del Mali e del Burkina Faso ad annunciare che “un intervento militare contro il Niger equivarrebbe a una dichiarazione di guerra” contro quelle nazioni, mentre la Guinea si è schierata a favore del colpo di Stato e si è rifiutata di applicare le sanzioni. Ora sono emersi due blocchi regionali che minacciano ulteriori conflitti e instabilità.

Se il regime golpista dovesse affermarsi saldamente, l’ex padrone coloniale del Niger, la Francia, sarebbe il primo a rimetterci. La Francia ha mantenuto uno stretto controllo sull’economia nigerina, anche dopo la conquista dell’indipendenza formale nel 1960, e ha 1.500 soldati di stanza nel Paese.

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha fatto fuoco e fiamme, avvertendo che non avrebbe “tollerato alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi” e giurando un’azione “immediata e senza compromessi” in qualsiasi caso.

Ma nonostante la retorica infuocata, finora la risposta della Francia e dell’UE si è limitata alla cessazione degli aiuti finanziari e all’evacuazione dei cittadini europei. Il Ministro degli Esteri francese ha negato qualsiasi intenzione di intervento militare.

Ipocrisia imperialista

Le proteste e le lamentele dei media occidentali in nome della “democrazia” in Africa suonano vuote. In realtà, sono proprio i secoli di sfruttamento e ingerenza imperialista nella regione ad aver preparato il terreno per la crisi attuale.

Da quando il Niger è diventato una colonia francese nel 1922, è stato tenuto forzatamente in uno stato di estrema povertà e dipendenza economica. Oltre il 41% vive al di sotto della soglia di povertà assoluta di 2,25 dollari al giorno stabilita dalla Banca Mondiale. Secondo il Bertelsmann Transformation Index, solo l’11% della popolazione ha accesso ai servizi igienici di base.

La stragrande maggioranza dei nigeriani vive un’esistenza estremamente precaria, basata sulla pastorizia nomade e sull’agricoltura di sussistenza nelle campagne, o lavora nell’ambiguo “settore informale” nelle città. In alcune zone del Paese è ancora presente la schiavitù: si ritiene che il 7% della popolazione sia sottoposto a lavori forzati.

Allo stesso tempo, il Niger è il settimo produttore di uranio al mondo. Esporta anche oro e petrolio. Eppure, come sempre accade nelle nazioni povere e dominate, nemmeno un centesimo di questa ricchezza raggiunge la popolazione del Paese.

La stragrande maggioranza delle miniere di uranio del Niger sono possedute e controllate da società straniere, tra le quali spicca la francese Orano. Nel frattempo, gli “aiuti” internazionali allo sviluppo, che ammontano a quasi 2 miliardi di dollari all’anno, vengono consumati da una burocrazia statale gonfiata e corrotta nella capitale, che di fatto forma un’élite dipendente che governa il Paese nell’interesse dei suoi padroni.

Instabilità

Alla terribile povertà delle masse si è aggiunta anche la strisciante desertificazione del Paese a causa dei cambiamenti climatici e il flagello del banditismo islamista, un mostro nato e alimentato dagli interventi imperialisti in Medio Oriente e Nord Africa.

L’intervento della NATO in Libia nel 2011, voluto soprattutto dalla Francia – in difesa della “democrazia”, ovviamente – ha trascinato il Paese nella barbarie, caratterizzata da scontri tra signori della guerra rivali e mercati di schiavi sulla costa mediterranea.

Ma la destabilizzazione operata dall’imperialismo occidentale non finisce qui. Il crollo dello Stato libico ha iniettato armi e combattenti attraverso il Sahara, direttamente nella regione del Sahel. L’organizzazione terroristica islamica Boko Haram ha stabilito una presenza permanente nel nord-est della Nigeria, mentre gruppi legati all’ISIS e ad Al-Qaeda pullulano in Mali, Burkina Faso e Niger.

Nel 2013, il governo “socialista” di Francois Hollande ha inviato 1.700 truppe francesi in Mali su invito del governo maliano, insediatosi con un colpo di Stato un anno prima. Negli anni successivi questa è diventata una forza di occupazione permanente di circa 3.000 uomini, che opera a fianco delle forze americane in cinque Paesi.

Eppure, lungi dal placare la minaccia terroristica, l’imperialismo occidentale ha solo aggravato il problema. La povertà e l’instabilità della regione costituiscono un fertile terreno di reclutamento per i gruppi islamisti, che offrono ai giovani indigenti “denaro, donne, carne e una moto”, secondo un ex combattente islamista intervistato da The Economist. Nel frattempo, le truppe francesi e americane sono viste come protettrici dei propri interessi imperialistici, e non senza ragione.

Rabbia di massa

Di conseguenza, un profondo risentimento è cresciuto costantemente in tutta la regione, non solo a causa del fallimento dell’intervento francese per sconfiggere i gruppi islamisti, ma anche per un odio profondo verso il colonialismo francese, incarnato dalla presenza delle truppe francesi. In tutta la regione sono state segnalate manifestazioni che chiedono l’allontanamento delle forze francesi e spesso evocano il ricordo delle lotte per l’indipendenza dei loro Paesi. In Ciad, ad esempio, l’anno scorso i manifestanti hanno scandito: “Il Ciad è libero e la Francia è fuori!”.

Queste proteste sono state spesso represse da regimi armati e finanziati dagli aiuti occidentali. In Niger, ad esempio, che era stato salutato come un “paradiso di stabilità” dal capo della diplomazia dell’UE, Josep Borrell, il governo “democratico” ha ripetutamente usato la forza per reprimere le proteste antifrancesi.

Ma come Marx ha spiegato molto tempo fa, quando si fa continuamente affidamento sui corpi armati degli uomini per garantire l'”ordine”, cosa impedisce loro di decidere di governare la società da soli?

In questo contesto, disordini di massa, instabilità politica e colpi di stato erano inevitabili e rappresentano la diretta conseguenza del tentativo dell’imperialismo francese di rafforzarsi nel Sahel. Prima il Mali, poi la Guinea e il Burkina Faso, hanno sperimentato diversi colpi di Stato dal 2020.

In assenza di una direzione rivoluzionaria che potesse incanalare lo stato d’animo di rabbia e odio verso l’imperialismo occidentale, i leader militari hanno agito sopra le teste delle masse in nome della conservazione della “sovranità” e dell'”ordine”, basandosi sullo stato d’animo descritto per issarsi al potere.

In Mali, Burkina Faso e ora Niger, i colpi di Stato sono stati accolti da manifestazioni di sostegno, con migliaia di persone che hanno scandito slogan antifrancesi. Prima il Mali e poi il Burkina Faso hanno cacciato le truppe francesi dal loro territorio. Il Mali ha persino eliminato il francese come una delle sue lingue ufficiali.

Il leader del governo provvisorio del Burkina Faso, il capitano Ibrahim Traore, ha deliberatamente ripreso la memoria del leader straordinario della lotta anticoloniale del suo Paese, Thomas Sankara. Il suo primo ministro, Apollinaire Joachim Kyélem de Tambèla, è un importante “sankarista”, e tutti i parlamentari hanno accettato di ridurrsi lo stipendio del 50%.

Certo, nessuno di questi regimi ha rotto con il capitalismo e ha espropriato le multinazionali che continuano a sfruttare la regione. Ma nonostante ciò, la retorica antimperialista adottata da questi regimi è in sintonia con lo stato d’animo rivoluzionario generale che esiste tra ampi settori delle masse africane e il loro odio profondo verso l’imperialismo occidentale.

La Russia

Un elemento nuovo ed estremamente importante nell’equazione è l'”alternativa” rappresentata dalla Russia, che si sta inserendo nel vuoto lasciato dall’Occidente in alcune parti dell’Africa. In Mali, Burkina Faso e Niger, ciascuno dei governi golpisti ha combinato la retorica anticolonialista con dichiarazioni di fedeltà alla Russia. Spesso si vedono manifestanti a favore dei golpe sventolare la bandiera russa. Questo fatto è di estrema importanza per il cambiamento delle relazioni mondiali che si è accelerato dall’inizio della guerra in Ucraina lo scorso anno.

Il relativo declino dell’imperialismo statunitense ed europeo è particolarmente evidente nel continente africano. La Cina è diventata il principale partner commerciale dell’Africa, mentre la Russia sta gradualmente seguendo una strategia di creazione di punti di appoggio in una serie di Paesi, in particolare quelli che subiscono l’influenza dell’imperialismo francese.

Il livello di investimenti economici della Russia in Africa rimane basso rispetto a quello della Cina, ma il suo sostegno sotto forma di armi e combattenti della compagnia Wagner le ha fatto guadagnare alcuni importanti alleati. Secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, la Russia è già il maggior fornitore di armi dell’Africa subsahariana.

Nella Repubblica Centrafricana, la compagnia mercenaria russa Wagner è stata utilizzata per sostenere il regime in carica. In cambio, ha preso il controllo di una serie di miniere d’oro, soprattutto quella di Ndassima, e dei contratti di disboscamento. Ora Wagner è stato formalmente invitato dal governo maliano ad assisterlo nella lotta contro il terrorismo.

Fresco del suo fallito tentativo di colpo di Stato in Russia, il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha salutato il colpo di Stato in Niger, definendolo “nient’altro che la lotta del popolo nigerino contro i suoi colonizzatori”. Ha anche offerto i servizi della sua azienda nella lotta al terrorismo, anche se tali servizi hanno un costo molto elevato.

Il governo Putin ha inoltre mantenuto relazioni amichevoli con Hemedti, il capo delle milizie RSF (Rapid Support Forces) che ora combattono il governo ufficiale in Sudan, permettendo a Wagner di far transitare l’oro dagli aeroporti delle zone controllate dalle RSF per evitare le sanzioni occidentali.

La guerra in Ucraina e la risposta dell’imperialismo statunitense hanno rappresentato un importante punto di svolta. Il tentativo degli Stati Uniti e della NATO di isolare la Russia dal resto del mondo si è ritorto contro. Invece di attrarre l’Africa verso Stati Uniti ed Europa nella condanna della Russia, gli Stati Uniti hanno provocato un drammatico cambiamento nel continente.

L’imperialismo russo, a sua volta, si è sforzato di sfruttare al meglio questa situazione. Putin ha cinicamente fatto grande sfoggio delle sue ritrovate credenziali “anticoloniali”. In un discorso del settembre 2022 ha collegato la guerra in Ucraina alla lotta contro il colonialismo occidentale, sottolineando il suo ruolo nella “tratta degli schiavi, il genocidio delle tribù indiane in America, il saccheggio dell’India, dell’Africa…”.

Al recente vertice Russia-Africa a Mosca, che si è svolto mentre si svolgeva il colpo di Stato in Niger, ha citato Nelson Mandela e ha elencato una serie di figure famose della lotta di liberazione dell’Africa contro l’imperialismo, tra cui il primo ministro congolese Patrice Lumumba, assassinato con il coinvolgimento di Belgio e Stati Uniti.

I media occidentali si sono affrettati a liquidare il vertice, per il fatto che vi ha partecipato un numero inferiore di nazioni rispetto all’ultimo del 2019, ma ciò oscura deliberatamente il fatto che 19 capi di Stato africani vi hanno partecipato in barba alle pesanti pressioni occidentali, pronunciando discorsi di esplicita condanna dell’Occidente e di elogio della Russia.

Putin deve aver dovuto reprimere un sorriso quando i leader africani hanno salutato la Rivoluzione bolscevica del 1917 e hanno paragonato il suo regime all’Unione Sovietica, considerando che all’inizio della sua invasione dell’Ucraina ha deplorato la creazione dell’Ucraina come colpa di Lenin e dei bolscevichi e ha detto dell’ammutinamento di Prigozhin che un “colpo del genere è stato inferto alla Russia nel 1917”.

Al di là della retorica, Putin ha anche offerto armi, grano a basso costo e cancellazione del debito agli Stati africani alle prese con l’aumento dei prezzi e dei tassi di interesse. In uno sviluppo significativo, il capo delle forze armate russe, il generale Shoigu, ha annunciato questa settimana che “il Ministero della Difesa russo è pronto ad aiutare a migliorare le capacità di combattimento delle forze armate algerine”.

Il significato del golpe

Il colpo di Stato in Niger rappresenta una sconfitta umiliante per l’imperialismo francese e un duro colpo per l’Occidente in Africa. Il Niger era considerato l'”ultima tessera del domino”, dopo che la Francia era stata costretta a spostare le sue truppe dal Mali e dal Burkina Faso nel paese. Ora rimane solo il Ciad come base di appoggio e non è affatto chiaro se lo rimarrà, considerando le crescenti proteste antifrancesi che si stanno verificando in quel Paese e la guerra in Sudan a est.

La perdita del Niger non solo minaccerebbe l’accesso europeo all’oro e all’uranio della regione, ma metterebbe in serio pericolo la costruzione di un gasdotto dalla Nigeria all’Algeria, iniziata lo scorso anno, minacciando ulteriormente la sicurezza energetica dell’UE.

Inoltre, la Francia e l’UE facevano affidamento su regimi come quello nigerino per cercare di fermare il flusso di migranti dell’Africa subsahariana verso l’Europa. Non stupisce quindi che l’Occidente e i suoi alleati stiano esercitando tutte le pressioni possibili per ripristinare il precedente governo.

Tuttavia, il loro margine di manovra è estremamente limitato a causa del forte sentimento anticoloniale nella regione e dell’alternativa presentata dalla Russia. Come ha detto un analista del think tank Crisis Group: “I Paesi occidentali devono davvero andarci piano e cercare di trovare modi per collaborare con questi Paesi solo per non spingerli dall’altra parte – cioè la Russia”.

Ciò ha implicazioni non solo per l’Africa, ma anche per la crisi globale del capitalismo. Ogni espressione della lotta delle masse africane per la libertà da secoli di oppressione occidentale dovrebbe essere presa sul serio da ogni lavoratore del pianeta, e non dovremmo versare alcuna lacrima per la corrotta messinscena della “democrazia” sostenuta dall’Occidente.

Al di là del Sahel e del continente africano, questo cambiamento segna una nuova fase della crisi dell’imperialismo occidentale e della frammentazione del mondo in diverse potenze concorrenti, o “multipolarità”, come viene spesso definita.

L’ascesa della Cina e della Russia sulla scena mondiale è stata accolta con favore da alcuni leader africani e da parti della sinistra, come un mezzo per combattere l’imperialismo occidentale e garantire una vera indipendenza e uno sviluppo economico per le nazioni povere e sfruttate della Terra. Secondo questa visione, la Russia sta conducendo una lotta progressista per aiutare i movimenti di liberazione in Africa e dovrebbe quindi essere sostenuta e difesa. Come ha detto Traore nel suo incontro con Putin, sollecitando una più stretta cooperazione economica con la Russia, “vogliamo un mondo multipolare e siamo a favore della sovranità”.

Si tratta di una questione di estrema importanza per la lotta rivoluzionaria non solo in Africa, ma in tutto il mondo. Richiede quindi una risposta seria. La natura della Russia di oggi è la stessa dell’URSS? L’unica risposta che si può dare a questa domanda è: assolutamente no.

L’URSS, nonostante tutti i crimini e i limiti dello stalinismo, era uno Stato operaio deformato, basato su un’economia pianificata e nazionalizzata. Lo Stato di Putin è un regime completamente capitalista, che in ultima analisi difende gli interessi degli oligarchi miliardari che hanno fatto fortuna saccheggiando la carcassa dell’URSS e derubando la classe operaia russa. I suoi interessi in Africa sono di natura interamente imperialista: accesso a materie prime, fonti di energia, mercati, campi di investimento e sfere di influenza.

Proprio come l’Occidente copre il suo dominio con frasi fiorite sulla “democrazia”, lo “sviluppo”, lo “Stato di diritto” e così via, la Russia ha scelto di presentare le proprie ambizioni in termini di “anticolonialismo” e “sovranità”. Ma né la Russia né la Cina intendono permettere che le vaste ricchezze naturali dell’Africa passino direttamente nelle mani dei lavoratori e dei contadini africani.

Il profondo desiderio delle masse africane di espellere l’imperialismo occidentale è assolutamente progressista e sarà una forza trainante della rivoluzione africana. Ma per vincere questa battaglia, esse possono contare solo sul proprio potere e sul sostegno della classe operaia mondiale, non sulla fedeltà a una delle potenze imperialiste rivali.

Solo un movimento indipendente e internazionalista della classe operaia può smantellare gli Stati reazionari imposti ai popoli africani, consegnare la ricchezza del continente direttamente nelle mani della società nel suo complesso e pianificare l’economia in modo democratico per il bene di tutti. In Africa e nel mondo, la scelta è chiara: Socialismo o barbarie.