Analisi della proprietà privata in Cina: la direzione del partito comunista cinese dirige la controrivoluzione capitalista

Italian translation of Recognition of private property in China: The leadership of the CCP leads the capitalist counter-revolution by Bárbara Areal (May 1, 2007)

La direzione del partito comunista cinese dirige la controrivoluzione capitalista

Le classi non possono essere abolite in un colpo solo (…) Durante l’epoca della dittatura del proletariato la lotta di classe non sparisce, ma assume unicamente altre forme…Sotto la dittatura del proletariato la classe degli sfruttatori, dei proprietari fondiari e dei capitalisti non è sparita e non può sparire ad un tratto. Gli sfruttatori sono stati sconfitti, ma soppressi. È rimasta la loro base internazionale, il capitale internazionale, del quale essi sono una sezione. In parte sono rimasti loro alcuni mezzi di produzione, sono rimaste loro somme di denaro, sono loro rimasti larghissimi legami sociali.” Economia e Politica nell’era della Dittatura del Proletariato, Lenin 1919(da Scritti Economici, pagg.766-767, Editori riuniti 1977)

dal sito El Militante (Spagna)

Lenin scrisse queste righe due anni dopo la presa del potere in Russia da parte dei Bolscevichi. Il suo obiettivo era sottolineare ai bolscevichi stessi ed agli strati più avanzati della classe operaia come, finchè il capitalismo avesse continuato a dominare nei paesi capitalisti avanzati, lo stato operaio avrebbe sempre dovuto affrontare il rischio della restaurazione capitalista. In breve la lotta tra la proprietà privata e quella nazionalizzata e organizzata in base ad una pianificazione economico è destinata a continuare finche il capitalismo non si verrà a collocare in una posizione inferiore nei rapporti di produzione a livello mondiale.

Le lezioni del processo di restaurazione capitalista in Urss così come nel resto dei paesi dell’est europeo, di Asia e Africa, hanno un’importanza straordinaria per la classe operaia di tutto il mondo. Come spiegò Trotsky a metà degli anni ’30, il trionfo della casta burocratica e la soppressione della democrazia operaia in Urss costituivano il più grosso pericolo per le conquiste della rivoluzione e preparavano la strada, in un lasso di tempo storico che era impossibile prevedere esattamente in anticipo, per la reintroduzione del capitalismo. Oggi possiamo vedere come la previsione di Trotsky si sia realizzata: in tutti i paesi, compresa la Cina, la controrivoluzione ha potuto trionfare per mano della stessa burocrazia stalinista. L’idea del socialismo in un paese solo ha infine rivelato tutto il proprio contenuto reazionario.

È una necessità per tutti i rivoluzionari comprendere cosa stia accadendo in Cina, per imparare dall’esperienza e rafforzare la lotta per il vero socialismo. La via cinese non è infatti un’opzione praticabile per il socialismo.

Non c’è socialismo in Cina

La legittimazione della proprietà privata, approvata a marzo da 2799 dei 3000 deputati del Congresso Nazionale del Popolo, non è nient’altro che un riflesso dal punto di vista legale del compimento della restaurazione capitalista. Come scrisse Marx nel 1875, il diritto non può mai elevarsi sopra la base economica della società e il suo sviluppo culturale ne è strettamente condizionato. Tre decenni dopo l’inizio delle riforme pro-capitaliste da parte di Deng Xiaoping, il monopolio di stato del commercio estero e il predominio del settore nazionalizzato dell’economia sono stati distrutti. Le basi della pianificazione sono state annientate dato che i settori decisivi dell’economia organizzano la produzione in accordo con la concorrenza nel mercato e con il gioco della domanda e offerta capitaliste. In questo momento, secondo la Federazione dell’Industria e del Commercio cinese, il 65% del Pil proviene dal settore privato dell’economia.

Nonostante la schiacciante evidenza dei fatti, i dirigenti del Partito comunista continuano a parlare in nome del socialismo mentre legittimano la proprietà privata e invitano i capitalisti ad unirsi al partito. Ci sono anche teorici fuori dalla Cina che si presentano come parte di un campo antimperialista e si definiscono socialisti che danno credibilità a una simile aberrazione. Un comportamento del genere merita un posto d’onore nella vecchia e infame scuola stalinista delle falsificazioni.

Federico Engels, in un opuscolo pensato per spiegare in maniera accessibile a tutti le basi del socialismo dal titolo “i principi del comunismo”, si chiedeva: “Come dovrà essere questo nuovo ordine sociale?”. Engels rispose: “Prima di tutto dovrà sottrarre l'esercizio dell'industria e in generale di tutti i rami della produzione ai singoli individui in concorrenza tra di loro, e dovrà invece far gestire tutti quei rami della produzione dall'intera società, cioè in conto comune, secondo un piano comune, e con la partecipazione di tutti i membri della società. Quindi anche la proprietà privata dovrà essere abolita, e ad essa subentrerà l'utilizzazione in comune di tutti i mezzi di produzione e la distribuzione di tutti i prodotti in base a un comune accordo, cioè la cosiddetta comunanza dei beni”. Seguiva un’ulteriore domanda: “Quali saranno le conseguenze della scomparsa della proprietà privata?”. “La grande industria, liberata dalla pressione della proprietà privata, si svilupperà in dimensioni di fronte alle quali il suo perfezionamento attuale apparirà meschino quanto appare la manifattura nei confronti della grande industria dei nostri giorni. Questo sviluppo dell'industria metterà a disposizione della società una massa di prodotti sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti.… Così diventa superflua la divisione della società in differenti classi contrapposte le une alle altre. E non solo superflua, ma addirittura incompatibile con il nuovo ordinamento sociale”.

Quindi, se la scomparsa della proprietà privata e della pianificazione economica sono la base materiale attorno a cui una nuova società può sradicare la miseria e lo sfruttamento, il risorgere di entrambe è all’opposto la cartina al tornasole del ritorno della vecchia società capitalista caratterizzata dalla divisione in classi, miseria, disuguaglianza e disprezzo per la vita umana. Le attuali condizioni di vita in Cina dimostrano come l’avanzamento della proprietà privata e del mercato vadano inevitabilmente mano nella mano con vergognosi privilegi per una minoranza e condizioni drammatiche per una schiacciante maggioranza della popolazione. C’è disuguaglianza tra ricchi e poveri, tra campagna e città, tra differenti regioni del paese. In breve la disuguaglianza più estrema è l’elemento dominante del falso socialismo che ci sta offrendo la direzione cinese.

Il volto ripugnante del nascente capitalismo cinese

Gli effetti della restaurazione del capitalismo in Cina sono stati devastanti. Secondo i dati della Banca Mondiale, il rapporto 20/20 (tra il 20% della popolazione più ricca in termini patrimoniali e il 20% più povero) è salito dal 6,5 nel 1990 al 10,6 nel 2001. Quella cinese è la società più diseguale di tutta l’Asia: lo stesso rapporto è circa 5 in India e Indonesia ed è inferiore a 10 nelle Filippine. L’evoluzione negativa è confermata anche dal rapporto 10/10: tra il 1990 ed il 2001 la porzione del reddito nazionale posseduta dal 10% della popolazione più ricco è salito dal 24,6% al 33,1%. Questi dati ci spiegano come mai la Cina sia il più grande mercato asiatico di beni di lusso, per esempio di Ferrari, mentre più di 170 milioni di cinesi vivono con meno di un dollaro al giorno.

Vivere nelle campagne è poi sinonimo praticamente di povertà: le circa 900 milioni di persone che vivono nelle aree rurali, approssimativamente il 60% della popolazione, guadagnano un terzo di coloro che vivono nelle aree urbane. Ma queste cifre non significano che la popolazione urbana viva una situazione migliore. Nonostante sia chiaro come nelle città si stia sviluppando un ceto medio, vera e propria base sociale della controrivoluzione capitalista, la maggioranza dei lavoratori vive in difficoltà estreme.

Nelle città l’affossamento della proprietà nazionalizzata ha significato una distruzione massiccia di posti di lavoro nel settore pubblico. Tra il 1995 ed il 1999 15 milioni di posti di lavoro in questo settore sono stati bruciati, mentre numerosi “specialisti”, consulenti economici e uffici studio di diverse banche occidentali indicano che nei prossimi anni nel settore statale verranno persi qualcosa come 100 milioni di posti di lavoro. Parallelamente milioni di lavoratori sono stati assunti in condizioni di massimo sfruttamento in migliaia di aziende createsi come risultato degli investimenti stranieri: 12 ore di lavoro al giorno sono la norma nelle industrie tessili o di giocattoli, insieme a salari da fame e senza alcun tipo di diritto sindacale o anche solo qualcosa di simile. Una parte importante di questi lavoratori vive sui terreni dell’azienda ed è costretta a pagare per vitto e alloggio.

Lo smantellamento del sistema sanitario pubblico, che fu una delle principali conquiste della rivoluzione del 1949, ha fatto sì che andare dal dottore sia un privilegio riservato per coloro che hanno abbastanza soldi. Secondo diversi giornali cinesi solo il 25% della popolazione urbana e il 10% di quella rurale hanno accesso alla protezione sanitaria, il che pone la Cina al quart’ultimo posto nella classifica mondiale di uguaglianza sociale nell’accesso al sistema sanitario.

Riguardo all’istruzione, dove la privatizzazione è andata avanti rapidamente, possiamo solo citare che nel 2004 il governo cinese ha lanciato una campagna per l’estensione dell’obbligo scolastico per i bambini sopra i 9 anni e per l’eliminazione dell’analfabetismo tra i giovani.

Per quanto riguarda altri aspetti generali non meno importanti che riguardano la qualità di vita di milioni di famiglie operaie, come ad esempio la qualità dell’aria e dell’acqua, si è registrato un peggioramento non meno accentuato. La contaminazione di fiumi e laghi è tremenda, specialmente nel nord del paese, con almeno 60 milioni di persone che hanno difficoltà ad accedere a quantità sufficienti di acqua potabile. La Cina ha il triste privilegio di contare sul proprio territorio 16 delle prime 20 città più inquinate a livello mondiale.

Le condizioni della classe operaia cinese sono simili a quelle dei lavoratori in Inghilterra descritte da Engels nell’800. L’80% di tutte le morti per lavoro tra i minatori avvengono in Cina. Nel 1991 gli infortuni mortali sul lavoro sono stati 80mila. Nel 2003 sono stati oltre 440.000. Nella fascia d’età tra i 20 e i 35 anni la principale causa di morte è il suicidio. Ogni anno ci sono 250.000 suicidi e una cifra che oscilla tra i 2,5 e i 3.5 milioni di tentati suicidi. Tutt’altro che una società felice e stabile indirizzata verso il regno del benessere, la Cina è il terreno di sviluppo di un capitalismo selvaggio che estrae plusvalore dalle masse esattamente come nel periodo in cui il paese era nelle mani delle potenze coloniali.

Chi ha aperto le porte della Grande Muraglia al grande capitale?

Questo è il tragico bilancio della restaurazione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Le riforme hanno senza dubbio permesso una crescita spettacolare del Pil di circa il 9% per gli ultimi due decenni. I capitalisti europei e americani hanno fatto enormi fortune investendo massicciamente in Cina. Comunque, chi ha aperto le porte della grande muraglia al capitale? Chi ha convertito la Cina in un paradiso per i profitti capitalisti e in un inferno di supersfruttamento per il proletariato? La risposta è semplice: quelli che hanno mantenuto il potere per tutti questi anni.

Questo lungo processo di riforme capitaliste è stato diretto con mano ferma dai principali dirigenti del Partito Comunista Cinese e della burocrazia stalinista, che non si sono limitati ad essere semplici delegati del capitalismo, ma hanno assunto il ruolo di protagonisti nella controrivoluzione, trasformandosi essi stessi in un settore importante della nuova classe di proprietari. Non è per caso che sono anche interessati a garantire le loro nuove proprietà individuali dal punto di vista del diritto e della legge.

La storia della Cina è entrata in un nuovo convulso periodo. I contadini e il proletariato cinesi hanno enormi tradizioni rivoluzionarie. Hanno scritto con il sangue alcune delle pagine più gloriose della storia della lotta degli oppressi. Nel 1949 il capitalismo cinese debole, arretrato e dipendente dall’imperialismo non fu in grado di resistere all’ondata rivoluzionaria. È sicuro che questo capitalismo mostruoso, figlio della decadenza dell’imperialismo e del capitalismo e del lavoro controrivoluzionario della burocrazia stalinista, dovrà prima o poi essere spazzato via da una nuova ondata della rivoluzione cinese.