“Greedflation”, l’inflazione da avidità: salgono i prezzi e i padroni fanno profitti record

Mentre il tasso d’inflazione continua a incidere sulle condizioni di vita dei lavoratori, ci sono imprese che fanno profitti record. C’è chi ha puntato il dito contro le grandi aziende che gonfiano i prezzi e fanno extraprofitti. Questo fenomeno è stato definito dai sindacati e da altri osservatori come “greedflation”, l’inflazione da avidità.

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C’è effettivamente stata un’impennata dei profitti in molti settori, mentre la crisi del carovita continua a mordere. ExxonMobil, gigante multinazionale del petrolio e del gas, nel primo trimestre dell’anno ha dichiarato profitti record per oltre 11 miliardi di dollari. Nel 2022 le grandi aziende petrolifere hanno raddoppiato i profitti raggiungendo $219 miliardi. Nello stesso periodo, in Gran Bretagna, il prezzo del gas ha visto un incremento del 129% e quello della luce del 67%. 6,7 milioni di famiglie sono state gettate nella povertà energetica, 4 milioni in più rispetto al 2020.

I prezzi dei generi alimentari sono schizzati in tutta Europa. In Germania l’inflazione alimentare si colloca al 21,1%, e al 15,8% in Francia. In Gran Bretagna i prezzi sono cresciuti del 19,1% rispetto a un anno fa; il picco più alto toccato in 45 anni.

Questo aumento dei beni di prima necessità ha portato a un ingrossarsi delle code ai banchi alimentari in Spagna, gli stessi banchi che in Germania devono addirittura respingere dei bisognosi. In Regno Unito c’è un aumento senza precedenti della domanda presso organizzazioni caritatevoli che forniscono cibo.

Questo aggravarsi delle lotte quotidiane per la sopravvivenza di milioni di persone avviene in un momento in cui i profitti dei monopoli globali dei cereali hanno raggiunto record storici e mentre ci si prepara a incenerire il “cibo in eccesso”.

I politicanti di destra non hanno perso tempo per ripetere il mantra che l’inflazione è causata da una “spirale prezzi-salari”, secondo la quale cioè i salari aumentano e, in risposta, le aziende sono costrette ad alzare i prezzi per stare al passo con l’aumento dei costi del lavoro.

La verità è semmai che i salari stanno disperatamente cercando di stare al passo con i prezzi, e non il contrario. Da un rapporto di Goldman Sachs – non proprio un istituto di sinistra – si evince infatti che l’aumento delle paghe per i lavoratori vale per meno di un terzo della crescita dell’inflazione; secondo le stime del rapporto, il 50% dell’aumento dell’inflazione va invece attribuito ai profitti aggiuntivi fatti dalle aziende.

Monopoli

È necessario spiegare com’è possibile che in un sistema basato sul mercato (cioè capitalista) possa verificarsi il fenomeno della “greedflation”. Non dovrebbe essere ammissibile che un’azienda possa alzare i prezzi in modo arbitrario per aumentare i propri profitti. D’altra parte, se ciò fosse possibile, perché le aziende non lo farebbero di continuo?

Verrebbe da pensare che se un’azienda alzasse i prezzi per fare più profitti, il suo concorrente li abbasserebbe per aumentare la propria fetta di mercato. E in effetti sarebbe così se nel mercato esistesse una concorrenza veramente “libera”.

Ma noi viviamo in un periodo di capitalismo monopolistico, nel quale la maggior parte dei settori sono dominati da un pugno di grandi compagnie monopolistiche. Lenin, nel suo monumentale Imperialismo: fase suprema del capitalismo, ha spiegato che la concorrenza capitalista porta ai monopoli e all’imperialismo. Questo sviluppo, a sua volta, porta alla definizione dei prezzi e agli accordi tra cartelli e potenze monopolistiche, che fanno così superprofitti a spese del resto della società.

Un recente studio accademico sull’inflazione negli Stati Uniti ha evidenziato che uno dei principali fattori che contribuiscono all’inflazione è la forza di mercato (cioè la posizione monopolistica) delle aziende. Lo stesso studio parla degli accordi impliciti siglati tra le aziende per alzare i prezzi – proprio come aveva spiegato Lenin oltre 100 anni fa!

Nel periodo burrascoso del disfacimento del capitalismo, i monopoli fanno ampio uso della propria posizione privilegiata per pompare i profitti. Prendiamo ad esempio i prezzi dell’energia nel contesto della guerra in Ucraina. Tra febbraio e agosto 2022 il prezzo del gas all’ingrosso è aumentato del 267%. Ciò ha portato immediatamente all’aumento delle bollette di famiglie e imprese.

Ma da allora il prezzo all’ingrosso è tornato a scendere del 77% (dati di febbraio di quest’anno). I rifornitori di energia non hanno però trasferito la riduzione dei costi alle famiglie.

Quando i costi aumentano, immediatamente i monopoli alzano i prezzi. Quando calano, i monopoli sfruttano la propria posizione per opporsi all’abbassamento dei prezzi. Lo stesso si vede in altri settori, come i produttori di fertilizzanti, che l’anno scorso si sono visti decuplicare i profitti grazie alle sanzioni sulle esportazioni russe.

Come possiamo vedere, il capitalismo monopolistico sta aggravando la crisi dell’inflazione. Non c’è dubbio che la “greedflation” sia un fenomeno molto reale. Tuttavia non risponde ancora del tutto alla domanda sul perché i tassi d’inflazione siano attualmente così alti.

L’avidità spiega tutto?

Il capitalismo è un malato terminale tenuto artificialmente in vita dalla crisi del 2008. Le banche centrali hanno pompato oltre $10 trilioni nel suo sistema attraverso il quantitative easing per superare la crisi del debito e salvaguardare i profitti delle banche e delle grandi imprese.

La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente spinto i governi di tutto il mondo a intervenire per pompare la domanda e tenere in piedi le imprese. Sono stati elargiti prestiti per oltre 15.000 miliardi di dollari e i debiti pubblici sono aumentati a dismisura.

Prima o poi, una quantità così ingente di denaro iniettato nell’economia senza un corrispondente aumento della produzione doveva trovare un’espressione economica. La classe capitalista, nel tentativo di superare quella crisi del 2008, ha in realtà gettato le basi per la crisi di oggi.

La guerra in Ucraina, il caos sulle linee di approvvigionamento e altri fattori hanno a loro volta contribuito all’aumento dell’inflazione. Non ci sono certezze su quanto continuerà la guerra ancora, sugli effetti che avrà sulle esportazioni di energia dalla Russia nel lungo periodo e se il grano potrà continuare a partire dai porti del mar Nero. Tutto questo, in una certa misura, si è riversato nei prezzi.

Oltre a interrompere le esportazioni russe e ucraine di energia, cibo e fertilizzanti, la guerra in Ucraina, con la rimilitarizzazione generalizzata che le è seguita, hanno a loro volta fornito un ulteriore impeto all’inflazione con l’aumento della spesa militare, una spesa improduttiva. Gli Stati membri della NATO hanno garantito un aumento delle rispettive spese militari per un totale combinato di 133 miliardi di dollari. Questo incremento di spesa pesa sull’economia e alimenta la crisi dell’inflazione.

Nel periodo appena trascorso, i metodi della produzione “just in time” hanno contribuito a tenere bassi i prezzi. Gli shock della pandemia e della guerra su catene di approvvigionamento estese come non mai hanno portato a carenze di materiali per le industrie, dando un ulteriore impeto all’inflazione nell’economia mondiale.

In passato la globalizzazione e lo sviluppo del commercio mondiale avevano la funzione di tenere i bassi prezzi, ma adesso tutto ciò sta iniziando ad andare a pezzi. In tutto il mondo aumentano le misure protezioniste. Gli Stati Uniti hanno recentemente approvato, con un nome che rivela una certa dose di cinismo, l’Inflation Reduction Act (legge per la riduzione dell’inflazione). Anziché ridurre l’inflazione, i tagli delle tasse e i sussidi offerti per riportare la produzione all’interno degli USA contribuiscono ad aumentarla.

In breve, non possiamo semplicemente ridurre la causa dell’attuale tasso di inflazione a questo o quell’aspetto del capitalismo. Se da una parte la “greedflation” è un fatto decisamente reale, una spiegazione che si limiti alla mera avidità non spiega nulla, in quanto lascia pensare che si possa porre rimedio alla situazione attuale convincendo i capitalisti a essere “meno avidi”. Ma l’avidità e il capitalismo sono sempre andati a braccetto.

La crisi dell’inflazione in corso è un sintomo della bancarotta dell’intero sistema. La rincorsa al profitto da parte dei monopoli, i salvataggi delle banche, le guerre imperialiste, l’anarchia del mercato, le barriere erette dallo Stato nazionale: ognuno di questi fattori fa la sua parte nel generare inflazione. La colpa è del capitalismo nel suo insieme. Per superare l’attuale crisi dobbiamo superare il capitalismo stesso.

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